Il pubblicitario si trova nel suo studio, assorto nei suoi pensieri, mentre cerca di capire come funziona quella diavoleria che scalda il tabacco che aveva comprato dopo averne visto la pubblicità.
Osserva le ultime campagne pubblicitarie sui social network.
“Ma cosa diavolo sta succedendo all’industria della pubblicità?” si chiede, riflettendo sulla bassa qualità degli advertising che aveva appena visto.
“È come se avessimo perso il nostro tocco magico”, si lamenta con se stesso. “Una volta, sapevamo come catturare l’attenzione del pubblico e trasmettere messaggi efficaci; ora siamo sommersi da una miriade di contenuti mediocri e banali.”
Il pubblicitario sa benissimo che la situazione non era sostenibile, almeno per lui e per la sua agenzia, e ragiona su come affrontare e risolvere il problema.
“Qui bisogna tornare alle basi. Dobbiamo ricordare che la pubblicità, in fondo, è un’arte. Dobbiamo essere creativi, originali e, soprattutto, autentici. Non possiamo permetterci di essere superficiali o di creare contenuti che non lasciano traccia.”
“Il ragionamento fila, hai ragione da vendere, ma come possiamo farlo?”
(Ma chi sta parlando, da dove arriva questa voce?)
“I social sono talmente saturi di informazioni che è davvero difficile emergere dalla massa. Devi trovare nuove strategie e nuovi mezzi per attirare l’attenzione della gente; e creare un vero legame emotivo.”
(È il suo alter ego, la voce è dentro la sua testa.)
Il pubblicitario si mise a pensare alle possibili soluzioni.
“Innanzitutto, dobbiamo concentrarci sulla qualità invece che sulla quantità. Non ha senso produrre migliaia di contenuti se questi non riescono a toccare il cuore delle persone. Dobbiamo essere selettivi e puntare sulla profondità, piuttosto che sulla superficialità.”
(Ha deciso di dialogare con l’alter ego).
“Poi, dobbiamo cambiare i parametri di studio del nostro target,” – continua – “dobbiamo capirne i reali bisogni, i desideri e le aspirazioni. Non dobbiamo forzare ma assecondare. Solo così potremo creare messaggi che siano veramente rilevanti.”
“Un altro aspetto fondamentale, con il quale dovrai farci i conti prima o poi, è quello di sperimentare formati e linguaggi diversi.” – suggerisce l’alter ego – “Non possiamo limitarci a ripetere e usare sempre le stesse cose. Dobbiamo osare e cercare nuovi modi di comunicare. In poche parole: aprirsi ed esplorare il nuovo.”
Il dialogo inizia ad essere interessante. Lo scambio di vedute con l’alter ego funziona.
“Cosa intendi di preciso?”, si chiede il pubblicitario.
“Davvero credevi che la tua esistenza si sarebbe conclusa semplicemente vivendo il passaggio da carta e penna alla macchina da scrivere, per poi saltare al computer e internet? – incalza l’alter ego – “Davanti ci si è aperta una nuova finestra, e noi abbiamo il dovere di affacciarci e capire cosa c’è dall’altra parte. Capire e usare ciò che la tecnologia ci sta offrendo.”
“Ti riferisci all’Intelligenza Artificiale.” – chiede a se stesso il pubblicitario – “Ma a te non fa paura?
“E da quando qualcosa che è definita Intelligenza, seppur sia questo un termine che ancora divide gli studiosi sulla sua corretta definizione, fa paura?”
Il pubblicitario conclude: “Hai ragione, mai fermarsi davanti ai cambiamenti. E mentre sperimentiamo il nuovo, dobbiamo tornare a credere nel potere della pubblicità come strumento di cambiamento. Non dobbiamo temere di affrontare temi importanti e di prendere posizione su questioni sociali o ambientali. La nostra responsabilità va oltre la vendita di un prodotto o di un servizio: abbiamo il compito di contribuire a creare un mondo migliore, un’immagine alla volta. Con intelligenza, artificiale o umana, o meglio ancora, con entrambe.”
Il pubblicitario si sentì pronto. Era giunto il momento di riscoprire l’arte della comunicazione e di riportare la qualità al centro della pubblicità.
L’alter ego sorride, guarda fuori dalla finestra, si accende una sigaretta, una vera, e pensa che è arrivato il momento di andare via. Per ora.