E il 2023 disse “quello che ha preso il 2022!”
Il 2022 è stato un anno denso di avvenimenti. Dallo scoppio della guerra (anche e soprattutto digitale), alla scoperta dell’AI, la nostra vita online e offline è stata, in un certo senso, sconvolta.
Eravamo appena usciti dalla pandemia e ci siamo trovati immersi in un anno ricco di novità – alcune decisamente interessanti, altre che avremmo potuto/voluto evitare – che hanno messo a soqquadro la vita di molti, a partire dai creativi e dagli artisti.
Alcuni temi, che sono nati e che stiamo vivendo negli ambiti digital, marketing e AI, hanno cambiato, per sempre, la nostra percezione del lavoro creativo, come lo conosciamo oggi.
Lo scopo è quello di preparare un terreno fertile per il 2023 riguardo la potenza della tecnologia, sia essa utilizzata nell’ambito digitale, scientifico, brand o semplicemente nella vita quotidiana.
COSA RESTERÀ E COSA RICORDEREMO DEL 2022?
Il 2022 è terminato con due notizie apparentemente distanti tra loro: abbiamo scoperto che le AI più complesse sanno parlare come un ragazzino di 10 anni e che i brand hanno iniziato a intuire la loro potenza d’uso.
Un’era è finita, nel 2022. Quella della “lavoro spicciolo” da parte di influencer, creativi, zucchini improvvisati e senza una vision e una strategia (futura).
Dall’altra parte, invece, le corporation ci hanno sorpreso, nel bene e nel male.
Alcune, soprattutto, ci hanno mostrato che le regole esistenti sono da sovvertire.
Con conseguenze che possono essere meravigliose o devastanti, a seconda di come ci si proietta nel futuro.
LE BIG TECH: BENE SUPREMO O MALE INCARNATO?
“Ogni brand è a sé”
Chi come Brand Genesi lavora nell’ambito del brand business, sa bene che ogni marchio – piccolo o grande che sia – incarna una sua anima, racchiusa innanzitutto nella triade “vision/mission/obiettivi”.
Le Big Company non fanno eccezione.
La base è uguale per tutti. Cambiano però i dettagli, a partire dall’impatto economico che generano, fino ad arrivare a quello sociale.
A un piccolo brand puoi perdonare di averla fatta fuori dal vaso, a una big company no (Balenciaga, sei tu?).
Se poi questi brand sono multinazionali planetarie, ecco serviti i guai.
Quali sono stati i marchi che più hanno creato scompiglio?
Una veloce carrellata:
– Twitter: acquisito da Musk, che gli ha dato il colpo di grazia comportandosi come il Re Sole e riaprendo il social a molti estremisti bianchi di destra
– Tesla: giocattolino del succitato Musk, che ha perso 47 miliardi di dollari
– Meta: anima (nera) di Zuckerberg, con, all’attivo, 11.000 licenziamenti (13% della forza lavoro totale)
– FTX: brand di cryptovalute di Bankman-Fried, fallita e in debito con molte società
– Amazon: alter ego di Jeff Bezos, che sta licenziando fino a 18.000 lavoratori
Questi brand potranno mai fallire? Probabilmente no, data la loro portata.
A fallire è il concetto di immortalità delle regole create da loro.
L’arroganza estrema dei loro creatori e l’impianto impossibile su cui si reggono sono destinati a cadere, prima o poi.
E IN ITALIA? IL VENTO DEL DIGITALE (NON) SOFFIA FORTE DA NOI
Come content creator, ho il “privilegio” di poter studiare brand e personal brand (italiani e non) sulle maggiori piattaforme social (LinkedIn, Facebook, Instagram, TikTok, etc) e su diversi siti.
Rispetto ai paesi anglofoni, USA in testa, ho potuto notare come il gap digital e tech da noi sia elevatissimo.
A partire dalle aziende – non solo del sud – dove il digitale viene visto come qualcosa di superfluo, inutile, alla portata di tutti.
Non viene considerato un lavoro, ma un qualcosa da ovviare con il fai-da-te, per risparmiare.
Quando abbiamo scoperto che l’AI può essere anche creativa, è scoppiato il panico.
“E ora? Come faremo ora?”
Possiamo scegliere due strade: arroccarci sulle nostre posizioni e muovere guerra alle inteligenze artificiali (dove la possibilità di vincita è pari a quella di un novellino di fronte a un Kasparov, a un Marcel o a una Beyoncè) oppure cominciare a cercare strade alternative per collaborare insieme.
Ciò significa formarsi, costruire nuove strategie, unire le forze.
D’altronde, come ha scritto Elizabeth Comstock – che mastica business da prima che noi prendessimo la penna in mano – “sii dove il mondo è diretto”.
Quello che dobbiamo imparare a capire è: dove si sta dirigendo il mondo?