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Ma i Big Brand potranno mai fallire?

Ma i Big Brand potranno mai fallire?

Chiara Romano Chiara Romano
brandrebranding
Gennaio 27, 2023

E il 2023 disse “quello che ha preso il 2022!”

Il 2022 è stato un anno denso di avvenimenti. Dallo scoppio della guerra (anche e soprattutto digitale), alla scoperta dell’AI, la nostra vita online e offline è stata, in un certo senso, sconvolta.

 

Eravamo appena usciti dalla pandemia e ci siamo trovati immersi in un anno ricco di novità – alcune decisamente interessanti, altre che avremmo potuto/voluto evitare – che hanno messo a soqquadro la vita di molti, a partire dai creativi e dagli artisti.

 

Alcuni temi,  che sono nati e che stiamo vivendo negli ambiti digital, marketing e AI, hanno cambiato, per sempre, la nostra percezione del lavoro creativo, come lo conosciamo oggi.

Lo scopo è quello di preparare un terreno fertile per il 2023 riguardo la potenza della tecnologia, sia essa utilizzata nell’ambito digitale, scientifico, brand o semplicemente nella vita quotidiana.

 

COSA RESTERÀ E COSA RICORDEREMO DEL 2022?

 

Il 2022 è terminato con due notizie apparentemente distanti tra loro: abbiamo scoperto che le AI più complesse sanno parlare come un ragazzino di 10 anni e che i brand hanno iniziato a intuire la loro potenza d’uso.

 

Un’era è finita, nel 2022. Quella della “lavoro spicciolo” da parte di influencer, creativi, zucchini improvvisati e senza una vision e una strategia (futura).

 

Dall’altra parte, invece, le corporation ci hanno sorpreso, nel bene e nel male.

Alcune, soprattutto, ci hanno mostrato che le regole esistenti sono da sovvertire. 

Con conseguenze che possono essere meravigliose o devastanti, a seconda di come ci si proietta nel futuro.

 

LE BIG TECH: BENE SUPREMO O MALE INCARNATO?

 

“Ogni brand è a sé”

Chi come Brand Genesi lavora nell’ambito del brand business, sa bene che ogni marchio – piccolo o grande che sia – incarna una sua anima, racchiusa innanzitutto nella triade “vision/mission/obiettivi”.

Le Big Company non fanno eccezione. 

 

La base è uguale per tutti. Cambiano però i dettagli, a partire dall’impatto economico che generano, fino ad arrivare a quello sociale.

A un piccolo brand puoi perdonare di averla fatta fuori dal vaso, a una big company no (Balenciaga, sei tu?).

 

Se poi questi brand sono multinazionali planetarie, ecco serviti i guai.

 

Quali sono stati i marchi che più hanno creato scompiglio? 

Una veloce carrellata:

 

– Twitter: acquisito da Musk, che gli ha dato il colpo di grazia comportandosi come il Re Sole e riaprendo il social a molti estremisti bianchi di destra

– Tesla: giocattolino del succitato Musk, che ha perso 47 miliardi di dollari

– Meta: anima (nera) di Zuckerberg, con, all’attivo, 11.000 licenziamenti (13% della forza lavoro totale)

– FTX: brand di cryptovalute di Bankman-Fried, fallita e in debito con molte società 

– Amazon: alter ego di Jeff Bezos, che sta licenziando fino a 18.000 lavoratori

 

Questi brand potranno mai fallire? Probabilmente no, data la loro portata. 

A fallire è il concetto di immortalità delle regole create da loro.

 

L’arroganza estrema dei loro creatori e l’impianto impossibile su cui si reggono sono destinati a cadere, prima o poi.

 

E IN ITALIA? IL VENTO DEL DIGITALE (NON) SOFFIA FORTE DA NOI

 

Come content creator, ho il “privilegio” di poter studiare brand e personal brand (italiani e non) sulle maggiori piattaforme social (LinkedIn, Facebook, Instagram, TikTok, etc) e su diversi siti.

Rispetto ai paesi anglofoni, USA in testa, ho potuto notare come il gap digital e tech da noi sia elevatissimo.

 

A partire dalle aziende – non solo del sud – dove il digitale viene visto come qualcosa di superfluo, inutile, alla portata di tutti.

Non viene considerato un lavoro, ma un qualcosa da ovviare con il fai-da-te, per risparmiare.

 

Quando abbiamo scoperto che l’AI può essere anche creativa, è scoppiato il panico. 

“E ora? Come faremo ora?”

 

Possiamo scegliere due strade: arroccarci sulle nostre posizioni e muovere guerra alle inteligenze artificiali (dove la possibilità di vincita è pari a quella di un novellino di fronte a un Kasparov, a un Marcel o a una Beyoncè) oppure cominciare a cercare strade alternative per collaborare insieme.

 

Ciò significa formarsi, costruire nuove strategie, unire le forze. 

D’altronde, come ha scritto Elizabeth Comstock – che mastica business da prima che noi prendessimo la penna in mano – “sii dove il mondo è diretto”.

 

Quello che dobbiamo imparare a capire è: dove si sta dirigendo il mondo?

 

L'autore

Chiara Romano

Content writer, esperta di personal branding. Nerd e Project manager.
Ancora Project Manager.

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